Il dolore vuole parole gentili
delicate, dolci
quando parlo di lui devo avere tatto
più di quanto ne ho parlando dell'amore
...l'amore.
Eppure quando provo dolore non è la gentilezza che mi culla
ne la tranquillità a darmi sollievo.
Soffro, ma nel raccontare il dolore c'è bisogno di calma
e serenità, altrimenti nessuno starà a sentire.
Il dolore vuole parole gentili
delicate, dolci
perché in fondo è dall'amore e dalla felicità
che nasce, ma nessuno ama lui,
nessuno lo preferisce o lo accoglie con un sorriso
nessuno pensa che non è sua la colpa,
che lui arriva come un effetto, non una causa.
Il dolore vuole parole gentili
è una questione di giustizia,
se le ho per l'amore che l'ha generato
bisogna che ne abbia per lui che non ha responsabilità,
per lui che non ha scelto di essere Dolore.
Se per una volta sarà lui ad essere il preferito
magari potrà essere causa e non più effetto
e allora chissà che cose meravigliose nasceranno da tanto dolore
se dall'amore, in fondo, non è nato che lui...
gentile, delicato e dolce
il mio dolore.
Essere legati, legarsi a qualcuno. E' così che si dice no? Quando tieni a qualcosa, quando sei emotivamente coinvolto e sopratutto quando ti innamori...ti senti legato a qualcuno. Le persone non hanno mai imparato davvero bene a descrivere i propri sentimenti, soprattutto l'amore. O forse la gente in generale sa poco di cosa voglia dire amare sul serio. Il possesso, quello si, quella è una cosa che in molti comprendono perché non implica indipendenza, autonomia, responsabilità e soprattutto sicurezza. Si, il possesso, è questo il vero amore che molti provano, perché il possesso non devi provarlo verso te stesso.
Lasciare la gabbia aperta è l'unico modo per capire se l'uccellino vuole stare li oppure no, ma ci vuole coraggio, ci vuole amore (amor proprio) per lasciare una persona libera di amarti.
Quando sento dire che qualcuno si sente perso senza la sua compagna/o penso sempre che ci sono due modi per non perdersi: rimanere dove siamo, o viaggiare tenendo bene a mente i propri punti di riferimento...personalmente preferisco la seconda.
Ho voglia di perdermi e ritrovarmi, di allontanarmi per guardare da lontano la piccola luce di una faro che mi dica qual'è la direzione di casa, che mi dica che non mi sono perso. Un faro che non serva per rimanere in porto, ma per allontanarmi senza il pericolo di perdermi, è a questo che serve innamorarsi.
L'ancora del passato, così come il binario del futuro, sono solo un altro modo per infondere sicurezza in chi non ne ha e, allo stesso tempo, paura in chi vorrebbe seguire il vento e assaporare la sua vita per poter scegliere a chi donare, non tutto, ma quella parte di se che gli piace di più, perché in fondo non c'è nulla di più bello di donare qualcosa di speciale...ed è proprio questo il punto. Per essere un bel dono bisogna prima essere speciali.
Più ci penso e più penso a quanto sia rassicurante avere un faro che indichi la via di casa e ci faccia stare tranquilli, ma poi mi ricordo che la cosa più importante non è la possibilità di tornare, ma la capacità di andare via. Mi chiedo quindi: potrei mai essere io un faro per qualcuno?
Immagino che amare, prima di tutto se stessi, significa almeno all'inizio CAPIRE. Magari istintivamente, magari comprendere senza nessuna cognizione di causa, ma comunque capire. La cosa principale è capire cosa sei, se un faro o una barca, perché l'uno ha bisogno dell'altra per assaporare a pieno la libertà di essere se stesso e sentirsi per questo speciale in ciò che si ha da offrire e da prendere. Offrire sicurezza a chi vorrebbe dartene è inutile, così come chiedere un avventura a chi invece aspetta di vedersela proporre...abbiamo tutti bisogno di qualcosa di più per essere ciò che siamo ed esserne anche felici. Forse infatti è proprio a questo che serve innamorarsi: per essere finalmente soddisfatti di noi stessi e di ciò che riusciamo a donare più che di quello che alla fine otteniamo, così da comprendere che tra Amore e possesso c'è veramente un abisso che si oltrepassa solo lasciando aperta quella piccola gabbia in cui vorremmo tenere l'idea della persona che diciamo di amare.
Ringraziare un faro per esserci sempre, soprattutto quando si scegliere di inoltrarsi al punto quasi di andare alla deriva, così come ammirare quella barca per il coraggio che dimostra nella sua ricerca e accoglierla ogni volta che, grazie a dio, rientra in porto...ecco, forse è proprio questa perfetta altalena di ansia, gratitudine e immensa gioia che ci rende speciali al punto da poter amare ed essere amati.
“Assaggia.”
Il cuore gli batte forte e non sa cosa farsene delle sue braccia, così le tiene
incrociate sul tavolo.
Lei gli passa il cucchiaino: sta aspettando. Ci sono tante cose da dire,
adesso.
Prima di entrare in casa gli sembrava che si sarebbero esaurite tutte nello
spazio che separa l’ingresso dalla cucina. Invece sono stati zitti.
Infila il cucchiaino nella parte bianca della farcitura. Suo padre avrebbe
fatto lo stesso.
Il sapore del metallo è la prima cosa che sente, poi c’è solo il dolce che si
scioglie sulla lingua
e gli sveglia una parte del cervello che credeva addormentata.
“Lo so perché sei venuto” dice lei nello stesso momento in cui lui si toglie il
cucchiaino dalla bocca e chiede: “Cos’è?”
“Il tuo dolce preferito, adesso”
“Già” dice Alex, lei sorride, però è triste. Troppi “ma” e
troppi “se” si arrampicano nella sua coscienza, sono passati solo pochi minuti
e già rischia di impazzire, così per un attimo abbassa gli occhi sforzandosi di
rallentare il tempo, “se solo ne avessi di più” pensa. Ancora un altro “se”.
Non ce la farà, ne è sicura.
“Non so neanche come dovrei chiamarti…”
“Zia Margaret, andrà più che bene” si volta “ti faccio il
caffè?!” il tempo non rallenta e i ricordi sono costretti a comprimersi,
attorcigliarsi fino a diventare un matassa tanto fitta da sembrare un unico
solido che forse potrebbe riempire tutto quel vuoto che si sente dentro. Magari
dovrebbe riempirlo sul serio, ma non ce la fa, infondo quello è il suo vuoto,
lo ha lasciato così per tanti anni, lo ha lasciato intatto perché era giusto
così e adesso lo ama, non può farne a meno, è la sua creatura e non la
abbandonerà, questa volta no. “Allora lo vuoi o no?”
“No no grazie, ho ancora quel buon sapore del dolce in
bocca, grazie lo stesso. Mi parli un po’ di lei zia?”
“Non c’è molto da sapere.” Il tono pacato di quell’
“Assaggia” iniziale, si sta dissolvendo come il dolce sulla lingua e l’amaro di
un caffè rifiutato prende il sopravvento in quella risposta così indelicata
“Era sempre in giro, sempre così inquieta, la vita non le andava a genio, ecco
tutto. Io sinceramente, ho sempre pensato che quando lo diceva si riferisse
alla sua di vita, poi col tempo ho capito che era una cosa generale e ho smesso
di stare a combattere con le sue idee…mulini a vento, ecco cos’erano, solo
mulini a vento”
Alex le fissa le spalle, non sta preparando il caffè ma non
si gira, guarda fuori dalla finestra, c’è vento e perdersi tra le foglie degli
alberi sembra essere una buona scusa per non voltarsi. Vorrebbe scappare, no
meglio, aprire la finestra e buttarsi o ancora, diventare un uccello e volar
via da questo schifo di appartamento e da questo piccolo bastardo che la
tortura con la sua curiosità, “MALEDETTO!!!” Si ripete trattenendo il fiato tra
i denti, “MALEDETTA!!!” Si ripete, lasciando le lacrime rigarle il viso.
“Quando avevo sei anni papà mi ha detto che la mamma era in
ospedale, che non stava bene. Per me l’ospedale era il posto dove ti portavano
quando ti facevi male…ho sempre pensato che la mamma fosse una gran sbadata se
doveva stare sempre in ospedale, se si faceva male di continuo. Poi sono
cresciuto, io e papà non parlavamo quasi mai della mamma. Un giorno mi confessò
che lei era in un ospedale psichiatrico, fine del discorso.”
“Tuo padre si è sempre vergognato di tua madre, eppure lei è
sempre rimasta uguale, pazza era quando lo ha conosciuto, pazza è rimasta dopo,
lui lo sapeva”
Silenzio
“Forse lui era più pazzo di lei” aggiunge Margaret con un
sorriso che sa di bile.
Silenzio
“Io credo che si sentisse in colpa”
“E per cosa, per non averla salvata?! Il suo spirito da
crocerossina mi ha sempre dato il volta stomaco, lui usava tua madre per
sentirsi una persona migliore, ma non era migliore affatto” lo dice tutto d’un
fiato, monotonica, assente, fredda, lucida, quasi cattiva.
“No, non credo si sentisse in colpa per non aver salvato
lei, ma per non aver dato a me una madre come si deve. Lui si vergognava di se
per aver scelto lei”
Un’altra lacrima scende, Alex non la vede, lei è rimasta di
spalle perché fuori le foglie si muovono ancora.
“Zia Margaret…la mamma era davvero così matta? Voglio dire,
lo capiva chi ero? Si insomma, so che sembra una domanda stupida ma, mi voleva
bene?”
“Te lo avevo detto che sapevo perché eri venuto…tua zia è
una strega non lo sapevi?!” adesso si gira, gli occhi sono lucidi ma le lacrime
non ci son più, lo guarda negli occhi finalmente. Verdi, come quelli del padre.
“Mamma…mia sorella, lo capiva benissimo chi eri tu, il
problema è che non capiva affatto chi fosse lei. Era capace di amare, te, tuo
padre, me, ma non sapeva amare se stessa. Tua madre era pazza si, ma solo
perché non sapeva darsi un ruolo da giocare in questa partita, non vuol dire
che non sapeva apprezzare il ruolo degli altri” Si gira. Lo ha guardato negli
occhi abbastanza, il tempo si è fermato finalmente. Ora, adesso, in quella
fotografia di lei con davanti quel ragazzo, Margaret pensa che un pezzetto di
vita vissuta in pace le potrebbe bastare… se quel pezzetto di vita si chiamasse
Alex sicuramente basterebbe. “E poi, una che ha inventato la ricetta per un
dolce simile, qualche rotella a posto avrebbe dovuto avercela no?!”
“La faceva lei questa?”
“Si, l’unica eredità che ha lasciato…ma infondo ci possiamo
accontentare no?”
“Non riesco a pensare che mi manca, non l’ho mai avuta, non
può mancarmi, però adesso penso che le avrei voluto bene. Anche se lei non se
ne voleva”
Margaret ritorna alla finestra. “MALEDETTA!!!” Poi si gira e
accarezzandolo sente le sue mani diventare più morbide, come se ogni capello
toccato le restituisse ore, giorni, anni passati, come se in quelle carezze ci
fosse tutto il tempo passato da sola, l’affetto mancato e le notti appese a
sogni precari come foglie mosse dal vento, quelle foglie nelle quali amava
perdersi, quei sogni nei quali non riusciva più a ritrovarsi.
“Vai Alex, è arrivato tuo padre…ci sentiamo caro, fai il
bravo, studia e occhio alle ragazze ok?!”
“Zia, vado all’università, per favore! Sono contento di
averti conosciuta, spero di vederti presto”
“A presto ragazzo, stammi bene”
Alex si dirige verso la porta, fa per uscire, lascia la
porta socchiusa.
Margaret torna alla finestra, è calma, il tempo va ancora
sufficientemente piano, come volesse lasciarla in pace con i suoi pensieri…una
voce, vicino l’orecchio, sussurra piano “Grazie mamma, ti voglio bene, te ne
voglio tanto che spero basti per entrambe” poi esce davvero e chiude la porta.
Un’altra lacrima scende, Alex non la vede, ma sa. Lei è
rimasta di spalle perché fuori le foglie si muovono ancora.